I Padri Teatini giunsero nella città di Lecce nel 1586, con il consenso del Vescovo Annibale Saraceno e il sostegno economico della città che provvide ad offrire un alloggio confortevole presso la casa della nobile Elena Staiano. Fu offerta loro, per gli uffici sacri, inizialmente la Chiesa dell’Assunzione della Vergine e poi la piccola chiesetta dedicata a Sant’Irene. Con il sostegno politico dell’Università e quello economico di molti cittadini, acquistarono diversi immobili per poter costruire su un’area più vasta la nuova chiesa e il convento. L’edificio sacro, dedicato alla protettrice di Lecce, e il convento furono edificati nell’isola denominata “ la frasca” tra l’ultimo decennio del XVI sec. e la prima metà del XVII. La collocazione prescelta è indicativa della volontà di insediarsi nel cuore della città, in un sito preminente, posto su una delle arterie viarie più importanti, per poter al meglio dedicarsi alla predicazione e all’assistenza dei moribondi. I Teatini, assieme ai Gesuiti, sono i più rigorosi interpreti della Controriforma e anche a Lecce operarono per il rinnovamento della liturgia, della predicazione e officiatura dei sacramenti. Il complesso conventuale poteva accogliere quaranta padri che nel primo trentennio del Seicento di certo abitarono la struttura, mentre nel 1762 fu istituito un educandato per i giovani che volevano entrare nell’Ordine. Con la soppressione degli Ordini religiosi la Chiesa e il Convento furono ceduti al Comune di Lecce, che si preoccupò di conservare l’apertura al culto della Chiesa affidandola a due padri teatini leccesi. I diversi rimaneggiamenti e le svariate utilizzazioni come caserma, scuola e uffici del Municipio hanno modificato l’originaria conformazione del complesso conventuale. Attiguo alla Chiesa, l’edificio si sviluppa su tre livelli: un piano terreno, uno parziale ammezzato e un primo piano. Gli ambienti, distinti in quattro corpi di fabbrica, si sviluppano intorno a un chiostro quadrangolare e sono collegati tra di loro dal portico voltato a crociere al piano inferiore e da un passaggio corridoio a quello superiore. Il chiostro è movimentato da un ritmico succedersi di arcate a tutto sesto, impostate su ampi pilastri al pian terreno e da una teoria di finestre architravate con timpano triangolare inserite in specchiature geometriche al primo piano; il cornicione finale, con motivi a dentelli, chiude in maniera armonica la superficie. Gli ambienti sono genericamente coperti con volte a stella e a crociera, realizzati in pietra leccese e carparo. Il prospetto, su Corso Vittorio Emanuele, compromesso nella sua originaria veste, mostra tuttavia una ricercata simmetria con due corpi laterali affiancati ad uno centrale, alleggerito dal loggiato posto all’ultimo piano; più sobrio ma non meno problematico il prospetto su via Regina Isabella.